S. Liberato, frazione di Cantalice, è un piccolo centro di circa 500 abitanti ubicato al confine nord del comprensorio comunale. Il nome gli deriva dal Santo Patrono, abate agostiniano, a cui è intitolata
Questo certamente favorì il sorgere di alcuni nuclei abitativi attorno al piccolo oratorio. Nei primi anni del 1600 fu elevata a parrocchia e, pur essendo ancora soggetta all’Abbazia di Ferentillo, si trovava sotto la giurisdizione canonica della Diocesi di Cittaducale che si era formata nel 1502 con le chiese sottratte alla Diocesi di Rieti nella parte del Regno di Napoli. Dal 1818, soppressa
In una nicchia della stessa navata, si trova l’urna contenente 1e reliquie del Santo martire Liberato insieme a quelle dei Santi Aurelio e Feliciano. Esse provengono dal cimitero di Ponziano (in Roma), come si legge nella pergamena di accompagnamento e furono consegnate al Cardinale Aloisio Omodei nell’aprile del 1683, solo in seguito donate alla Chiesa di S. Liberato.
L’antica origine di questo luogo di culto è documentata anche dalla campana maggiore; nell’epigrafe in latino, su di essa incisa, è possibile leggere il luogo e la data della fusione “REATE 1279″ed i motivi che rendevano necessari i suoi rintocchi “Chiamo il popolo, piango i defunti, lodo Dio vero, dalla folgore e dalla tempesta liberaci Signore, metto in fuga le (pestilentie, rendo gioiose le feste”. Nell’epigrafe si legge inoltre la dedica della campana stessa alla “Madonna della Grandine” festeggiata il primo di giugno.
Il piccolo centro di S.Liherato lega il suo nome anche a ricche sorgenti di acqua potabile, attualmente deviate in condotte, mentre già dal 1400, lungo il percorso delle acque che defluivano abbondanti verso il Lago Lungo, resta documentata la presenza di frantoi per la spremitura delle olive e di mulini per la macina del grano e successivamente del granturco.
Non mancavano poi i tradizionali lavatoi, testimoni silenziosi di un faticoso lavoro ma anche di tante “ciarle” tra lo sciabordare dei panni nell’acqua e lo sfregamento degli stessi sulla pietra.
Nei mulini si portava a termine il ciclico lavoro del contadino; le macine azionate dalla forza dell’acqua, restituivano olio e farina, trasformata poi abilmente in pane e pasta, che per tante generazioni hanno costituito la base di un’alimentazione semplice e genuina.
Oggi di questi mulini non restano che ruderi, spesso soffocati da erbe infestanti ma alle moderne generazioni che tornano a riscoprirli, sanno ancora trasmettere il significato della loro presenza e il fascino della loro storia.